I tempi corrono assieme ai continui studi e alle ricerche nel campo dell’emergenza, forse una tra le realtà più soggette ai “falsi miti” che vivono nelle genti, ma anche nel più specifico ambito sanitario.
Le gestione di un’emergenza è troppo difficile? Panico? Sicuramente c’è molto di più da tenere in considerazione per ovviare a queste problematiche.
Fortunatamente la formazione sulle manovre di rianimazione cardiopolmonare (RCP) si sta espandendo anche a livelli scolastici, andando a creare una rete sempre più compatta di persone in grado di effettuare delle manovre atte a prevenire i danni creati al cervello dalla mancanza di ossigeno post arresto cardiocircolatorio.
Società Scientifiche che emanano periodicamente linee guida sulla RCP raccomandano l’utilizzo di dispositivi di feedback di alta qualità durante i corsi di formazione, al fine di verificare concretamente quanto ogni persona stia eseguendo correttamente manovre come il massaggio cardiaco e le ventilazioni.
https://www.laerdal.com/it/docid/49155076/QCPR-L-Alta-Qualita-della-RCP-salva-la-Vita
Gli errori più frequenti
Dopo un un’attenta osservazione durante i corsi di formazione emerge una serie di “abituè” che sia sanitari che laici (quindi personale esperto nel settore sanitario e personale inesperto) tendono a riproporre anche dopo varie correzioni grazie ai dispositivi di alta qualità.
La prima tra tutte? La frequenza di velocità del massaggio cardiaco.
Sicuramente la scarica di adrenalina gioca i suoi scherzi, ma soprattutto chi non effettua retraining da più di due anni tende ad aumentare anche estremamente la velocità delle compressioni toraciche, toccando spesso medie di 140-150 bpm.
Questo errore non permette una costante compressione ad un’adeguata profondità di almeno 5 cm nei pazienti adulti e almeno 4 cm nei pazienti pediatrici, considerando poi che deve seguire un completo rilasciamento al punto iniziale per avere una corretta riespansione toracica e permettere alle camere cardiache di riempirsi adeguatamente di sangue.
Un altro mito da sfatare è proprio questo: più il soccorritore si stanca, più tende ad “appoggiarsi” sul torace del paziente, andando sempre più in profondità con le compressioni, ma senza tornare al punto 0 di partenza.
Questo è spesso causato anche da un’errata postura del soccorritore, che tende spesso ad avvicinare troppo le sue gambe al busto del paziente, non riuscendo così ad utilizzare come punto di leva il bacino del suo corpo. Tutto ciò favorisce un’eccessivo lavoro da parte della muscolatura delle spalle e delle braccia con conseguente affaticamento precoce, ecco perchè è necessario istruire subito i soccorritori a tenere ben rigide le braccia e soprattutto i gomiti, evitando qualsiasi flessione.
Un altro consiglio molto utile è quello di tenere ben distanziate le ginocchia del soccorritore, di modo da assumere una posizione più stabile e favorire gli spostamenti da eseguire nell’alternanza tra compressioni e ventilazioni.
Nell’emergenza territoriale bisogna spesso fare i conti con il caos dello scenario, gli imprevisti e le tante persone che spesso rendono più complesse le manovre di soccorso.
E le mani? Dove devo metterle?
Qualche soccorritore sanitario “vecchia scuola” cerca sempre il punto di repere per il massaggio cardiaco in maniera meticolosa. Linee guida aggiornate già in vigore da tempo ci suggeriscono di appoggiare la prominenza ossea del palmo di una mano al centro del torace (indicativamente nell’uomo al centro dello sterno, sulla linea intermammellare) e porre la seconda mano sopra la prima.
Non meno importanti sono i falsi miti che popolano tra le credenze degli operatori del soccorso nell’eseguire le ventilazioni. Dando per scontato che in assenza di dispositivi di barriera (pocket maso, pallone autoespansibile) il soccorritore è esposto al rischio infettivo nell’eseguire le ventilazioni con il metodo bocca-bocca, spesso la tendenza è quella di fare insufflazioni troppo lunghe e violente, rischiando di causare una distensione gastrica con conseguente induzione del vomito. Le due ventilazioni devono essere lente e profonde, della durata di circa 1 secondo ciascuna e le interruzioni tra i cicli di compressioni non devono durare più di 10 secondi.
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